venerdì, 29 Marzo 2024

Fai: i luoghi del cuore sono i beni ambientali, snobbato patrimonio archeologico

I Luoghi del Cuore, il progetto di censimento e di aiuto ai gioielli più amati del territorio portato avanti da dieci anni dal Fai con Intesa Sanpaolo, finora è stato un successo. Un’idea che agli italiani è piaciuta, sottolinea il vicepresidente Marco Magnifico snocciolando i numeri di un successo che in 6 edizioni biennali, (l’ultima è ancora in corso e si conclude il 30 novembre) ha raccolto 1 milione 800 mila segnalazioni, con 31.105 Luoghi del Cuore votati, 5.964 comuni coinvolti, 45 interventi del Fai distribuiti in 15 regioni e 12.160 beni ambientali votati.

E il paradosso, o forse proprio la reazione a decenni di spoliazione del territorio, è che a fare la parte del leone tra i luoghi del cuore scelti dagli italiani, ci sono proprio i beni ambientali (12.160 luoghi, il 39,1% del totale) e molto spesso si tratta di parchi, giardini, orti dimenticati nei grandi centri metropolitani assetati di verde, da Milano a Taranto, da Roma a Napoli e Genova, così come una grande importanza viene attribuita all’eredità rurale, ai paesaggi agrari storici, che diventano fondali significativi per i luoghi del cuore più amati, come il piccolo Mulino di Baresi a Roncobello, sulle montagne bergamasche, secondo classificato nel 2003 nella prima edizione del censimento, che il Fai ha comprato e restaurato per poi ridarlo alla comunità.     

Se la sensibilità è alta per le zone verdi, per i piccoli borghi, le spiagge, le chiese, le fontane, la sorpresa di questo rapporto è anche la scarsissima sensibilità degli italiani verso il patrimonio archeologico, la tipologia di beni “meno segnalata in assoluto” sottolinea la curatrice del rapporto e responsabile del progetto Federica Armiraglio.

Un dato che ancora di più sostiene la necessità di un’adeguata politica di valorizzazione del patrimonio, rilancia il presidente del Fai Andrea Carandini che punta il dito sulle passate politiche dei beni culturali: “Il Mibact è baluardo nella tutela, ma è stato assente nella valorizzazione e nella gestione beni, il nostro è un paese in cui si è confuso il management con il maneggio”.

Accanto a lui l’advisor e saggista Roger Abravanel è dello stesso avviso: all’Italia, dice, servono “manager culturali” correttamente formati e servono “veri imprenditori culturali”.

“Il lavoro fatto da Fai e Intesa Sanpaolo – dice dal canto suo il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini è la rappresentazione naturale di quello che noi stiamo facendo al Mibact per la rottura di una serie di tabù. Ma bisogna fare in fretta, incalza Franceschini, bisogna puntare su educazione e formazione. E c’è da costruire in fretta un know-how di esperienze enorme nel settore della valorizzazione”. 

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